I racconti dalla Locanda alla Fine dei Mondi

Colore Freddo

1.

“Platon?”
“Sì. Qualcosa in contrario?”
“No, è che… Un artista così importante… Non so se accetterà…”
“Graham, il mondo pensa che sia un onore lavorare con Daryl Quartermaine. Cosa ti fa credere che Platon sia diverso dal resto del mondo?”
“Secondo me…”
“Graham, non ti pago per sentire il tuo parere. Ti pago per assecondare il mio!”

2.

Londra, 3 Marzo


Caro Signor Mikhail Orlov a.k.a. Platon,

Le scrivo per chiederLe gentilmente la sua collaborazione alla realizzazione grafica del mio nuovo cd. Si tratta di un’opera che mi è costata un lungo periodo di lavoro e riflessione musicale, ma il risultato è eccellente, come potrà constatare dalla copia che le regalo.

Spero che apprezzerà il fatto di essere tra le dieci persone al mondo che hanno potuto ascoltare in anteprima Black Vertigo e che questo la possa stimolare creativamente nel creare un’opera che si adatti perfettamente come cover. E’ un cd molto atteso, signor Platon, e spero che la nostra collaborazione possa accrescerne la magnificenza e soddisfare le attese di milioni di fan.

Attendo una sua risposta,

Daryl Quartermaine



Londra, 7 Marzo

Caro Signor James Owen a.k.a. Daryl Quartermaine,

Le devo confessare il mio iniziale stupore per la proposta che mi ha fatto. Di solito le opere che dipingo non si adattano ad entrare nella copertina di un cd, ma sono d’accordo con Lei nel considerare questo esperimento come un interessante banco di prova per entrambi.

Pertanto mi riservo di invitarla a visitare il mio studio, il prossimo lunedì, per discutere piacevolmente sull’impostazione del nostro lavoro. La aspetto per le ore 15.

Cordialmente suo,

Mikhail Orlov a.k.a. Platon

3.

Un palazzo grigio con davanti due uomini in completo grigio, sotto un cielo altrettanto grigio. Daryl Quartermaine aspirò l’ultima boccata dalla sua sigaretta e poi la spense mentre con un sorriso strafottente guardava la targhetta sul campanello, indicante uno scarno PLATON scritto a mano.
Graham si strinse nel cappotto, guardandosi attorno con inquietudine. Si trovavano in una delle zone più sperdute di Camden Town accanto ad un Ford Navigator che avrebbe potuto attirare le attenzioni di qualche malintenzionato.
“Proprio non capisco perchè si ostini a vivere qui…” mormorò Graham. “Con tutti i soldi che ha potrebbe starsene a Notting Hill o in qualche paesino fuori città e dipingere in pace. E invece sceglie di vivere in questo sprofondo dimenticato da Dio”.
“Lui è un puro, Graham, tu non puoi capire…” disse Daryl, quasi con disprezzo, senza nemmeno guardare il suo assistente. “Non gliene frega un cazzo dei soldi, non è un venduto al sistema! Lui sta qua, dipinge le sue fiche da schianto e manda i suoi soldi in Russia, dai suoi parenti in Cecenia o di che cazzo di parte di mondo è…”
Daryl Quartermaine suonò con decisione il campanello e finalmente si voltò verso il povero Graham, che lo guardava con stupore al di là dei suoi spessi occhiali. “Platon è uno anni luce da te…” gli disse con un sorriso di scherno.
“Chi è?” gracchiò una voce cortese dal campanello.
“Quartermaine!” annunciò Daryl, riservando il suo sorriso perfino al campanello.
“Molto bene” disse la voce cortese. “Vi apro subito”.
Si udì uno scatto e il portone si aprì. Daryl Quartermaine entrò nell’ingresso e iniziò a salire con sicurezza una prima stretta rampa di scale in legno. I suoi passi rimbombavano con arroganza sulle scale, mentre teneva la testa alta per scorgere qualcosa di Platon alla fine di quelle rampe di scale. Scorse per un momento una massa di capelli fuligginosi e scomposti, poi solo quando fu giunto alla base dell’ultima rampa, il pittore russo gli apparve in tutta la sua ascetica maestà. Per un istante, il solitamente borioso Daryl Quartermaine rimase intimorito dalla presenza di Platon: era un uomo tanto alto quanto magro, vestito di una specie di saio marrone scuro, al cui centro spiccavano le mani, bianchissime, lunghe e scheletriche, strette l’una nell’altra. Il volto era lungo, magro e incavato, circondato da una massa informe di capelli che si fondeva con una barba altrettanto lunga, ribelle e grigia.
Ma fu solo un momento, appunto. Poi il Daryl Quartermaine che tutto il mondo conosceva (e che tutti i suoi collaboratori, Graham per primo, temevano) fece le proprie presentazioni a quello che sperava sarebbe divenuto un nuovo alleato. O suddito.
“Platon!” esordì Quartermaine, allargando le braccia verso di lui. “E’ un onore conoscervi! E complimenti per il look, sembrate una qualche creatura fantastica!”
Platon sorrise cortesemente, senza sciogliere la stretta delle sue mani. “E’ un onore anche per me” disse con voce dolce e pacata. “Ed è un onore conoscere anche il vostro amico vistosamente affannato…”
“Già, le scale sono tante. Lui è Graham…” disse Daryl, troncando ogni possibilità di inserimento del suo assistente in quel dialogo.
“Accomodatevi, vi prego” continuò Platon, entrando nel proprio appartamento. “Abbiamo tante cose di cui parlare ed è bene cominciare subito!”
“Verissimo!” disse Daryl, salendo di corsa le scale e varcando la porta d’ingresso. Il suo sorriso arrogante ebbe modo di incepparsi ancora una volta, non appena fu dentro la mansarda del pittore. Era una stanza molto lunga con un tetto a spiovente altissimo, sulle cui pareti interne erano attaccati ritratti femminili in stile preraffaellita di una lunghezza di almeno quattro metri. Donne bellissime e solari, la specialità di Platon in netto contrasto al suo look da frate trappista.
“Splendido, davvero splendido!” osservò Daryl col suo tono da conquistatore. “Non trovi, Graham?” chiese, voltandosi per un secondo verso il suo assistente.
“Io…” iniziò a dire Graham, ma per l’appunto era solo un secondo quello che la rockstar gli aveva concesso.
“Chi l’avrebbe mai detto che un russo avrebbe saputo ereditare bene la tradizione fieramente inglese di Dante Gabriel Rossetti!” fece Daryl, tornando a rivolgersi a Platon.
Il pittore sorrise e si accomodò dietro ad una scrivania nera. “La ringrazio. Ma il mio maestro ispiratore è soprattutto James Assheton con le sue donne belle e cariche di sofferenza…”
“Ignoro chi sia!” lo interruppe Daryl, sedendosi davanti a lui. “Ma mi piace questo concetto di bellezza e sofferenza. Sarebbe un ottimo punto di partenza per la nostra collaborazione!”
“Come preferite…” disse Platon con voce calma e un sorriso incredibilmente accomodante. Graham lo guardava con ammirazione: Daryl Quartermaine gli aveva sbattuto in faccia la propria presuntuosa superiorità, come faceva con chiunque, ma il pittore russo lasciava che tutto questo gli scorresse addosso come se nulla fosse. Lo invidiava per tutta questa calma.
“Avete ascoltato il mio cd?” chiese Daryl “Un capolavoro, vero?”
Platon annuì con un movimento rilassato della testa. La lunga barba grigia si adagiò sul petto per rigonfiarsi come un’onda in un mare calmo. “Molto bello, signor Quartermaine” disse. “Sono sicuro che i vostri fan lo apprezzeranno”.
“Devono, se sono miei fan” scherzò Daryl, ma non più di tanto.
“Posso farle un unico appunto, se permette?” chiese Platon con infinita cortesia.
Daryl si rabbuiò. Graham pensò che chiunque altro avesse osato fare un appunto a Daryl Quartermaine avrebbe infilato la prima finestra a portata di mano. Ma l’innaturale dolcezza di Platon aveva placato persino l’irascibile ego della rockstar, che accolse la richiesta del pittore con un accomodante “Prego, mi chieda pure…”
“La canzone Suicide Girl…” esordì Platon. “Seguo anche io le vicende mondane e i fatti del mondo dello spettacolo. Sinceramente, non so quanto possa essere di buon gusto inserire una canzone come questa a così breve distanza dai fatti che racconta…”
Daryl sorrise. Suicide Girl, no longer here, a merciful street is now the only thing you can embrace. E nei suoi occhi l’immagine della ventunenne groupie Lucinda Gray che precipita dalla finestra del proprio appartamento. Graham, invece rabbrividì, ripensando al lavoro di quei giorni: una ragazza che muore in preda ad alcol e droga, dopo una sfuriata di gelosia ad un non meglio identificato uomo. Uomo che, con estrema fatica, era rimasto anonimo senza prendere le fattezze di Daryl Quartermaine.
“E’ solo una canzone” disse Daryl.
“Una canzone non è mai solo una canzone” fu la pronta replica di Platon.
“Ma si può leggere in tanti modi” insistette Daryl.
“Sì, ma poniamo che la gente ne scelga uno soltanto” disse ancora Platon.
“Dove vuole arrivare, Platon?” chiese Daryl, mostrando i primi segni di fastidio.
“Penso soltanto che una canzone così possa condizionare il mio lavoro” rispose Platon, senza perdere una briciola della propria compostezza. “Non so quanto le mie donne possano essere… di buon gusto… nel contesto in cui si trova anche una canzone come Suicide Girl…”
“Mi sta dicendo che rifiuta?” chiese Daryl con una vena tagliente nella voce.
“Assolutamente no” rispose Platon. “Anzi, le confermo che accetto di eseguire questo lavoro. Ma le chiedo carta bianca per elaborare qualcosa di completamente diverso, apposta per il suo cd”.
“Si rende conto di quello che mi sta chiedendo?” fece Daryl con voce eccitata. “Cazzo, non solo Black Vertigo condizionerà la storia della musica, ma passerà alla storia anche per avere costituito una svolta nella carriera artistica di Platon!”
Platon sorrise, soddisfatto del modo semplice in cui aveva ottenuto la propria vittoria.
“Di quanto tempo ha bisogno?” chiese Daryl, alzandosi in piedi.
“Lei di quanto?” chiese Platon.
“Vanno bene due settimane?”
“Una sarà più che sufficiente…”
Graham vide il sorriso arrogante di Daryl infrangersi contro quello pacifico di Platon, mentre la rockstar tendeva la mano al suo nuovo alleato. Meglio di suddito, senz’altro.

4.

“Allora? Ha accettato?” chiese Martin Crispian, corpulento direttore della casa discografica di Quartermaine.
“Conosci qualcuno che direbbe no a Daryl Quartermaine?” chiese la rockstar.
“Forse avrebbe dovuto farlo tua madre un po’ più spesso” pensò Graham, ma non lo disse ad alta voce. Era troppo vicino ad una finestra.

5.

E l’azzurro scivola attorno al rosso e lo accarezza. E poi tocca il nero e si abbracciano, si fondono, si uniscono come amanti in un letto blu scuro. Una sottile linea bianca, acuminata come la lama di un coltello, sale verso di loro, ma senza toccarli.

6.

“L’ho chiamato Colore Freddo” disse Platon, camminando piano lungo la stanza. Indossava lo stesso saio dell’altra volta e Daryl e Graham erano nuovamente vestiti in un completo grigio. Daryl si augurò per Platon che avesse una serie di sai tutta uguale come lui l’aveva di completi grigi.
L’opera del pittore era un quadrato preciso, come un’enorme copertina di cd, coperta da un telo nero. La rockstar e il suo assistente erano seduti su due poltrone in pelle, oggetti d’antiquariato in pesante contrasto con quell’atmosfera da monastero.
“Possiamo vederlo?” chiese Daryl con impazienza.
Platon annuì con gentilezza. “Spero di aver colto nel segno, mio caro amico” disse. Poi si portò dietro il quadro, afferrò con delicatezza i lembi del telo e lo sollevò lentamente. Inizialmente, agli occhi dei due ospiti apparve una massa scura di nero e blu scuro, attraversata sulla sinistra da una linea bianca, che tendeva a salire in diagonale verso destra. Mano a mano che il telo svelava l’opera, intuirono che la linea era un sorriso che solcava un volto dalle guance color blu scuro. Il telo svelò un semicerchio rosso e, quando comparve un puntino nero, i due capirono che era un occhio.
Platon finì di sollevare il telo e il quadro fu del tutto scoperto. Daryl lo guardò in silenzio, con profonda attenzione; Graham, all’opposto, si sistemò sulla sedia, tirandosi indietro con le guance contratte da uno sgomento che non avrebbe mai ammesso.
“Sono io…” disse Daryl, a voce bassa, come in estasi.
Platon annuì con l’ennesimo dei suoi dolci ed enigmatici sorrisi. Il quadro ritraeva un primo piano ravvicinato del volto di Daryl. Il sorriso tagliente che spuntava in basso a destra e saliva verso il centro. L’occhio semiaperto in diagonale, rosso come il fuoco, centro dell’attenzione dello spettatore o dell’acquirente. E la pelle di un colore blu morte con i capelli e la rada barba di un nero estremamente scuro. E poi il suo autore, il ritratto della beatitudine che aveva partorito un mostro.
Daryl si protese ancor più in avanti. “E’ magnifico…” mormorò con un filo di voce. “Tu cosa ne dici, Graham?”
Graham non rispose. Daryl si voltò. Odiava dover cercare l’attenzione degli altri.
“Graham, ti ho chiesto se…” sbottò, ma dovette interrompersi.
Graham tossicchiava, accartocciato sulla sedia con le mani strette a pugno sui braccioli. Le nocche erano bianchissime. Guardava alla sua sinistra, con un’espressione di profondo disagio sul volto.
“Cosa cazzo ti prende, Graham?” fece Daryl.
“Signor Platon, c’è un bagno qui?” chiese Graham con voce sofferente. “La prego, credo di non sentirmi bene…”
“Da quella parte, prego” disse Platon con cortesia, sollevando un braccio lungo e magro verso destra.
Graham si alzò dalla sedia, quasi piegato in due e corse verso il bagno, chiudendosi la porta alle sue spalle. La rockstar si voltò verso il pittore e si strinse nelle spalle. “Avrà mangiato pesante…” disse.

7.

Era come se gli avessero fatto un’iniezione di ghiaccio puro, mentre qualcuno lo soffocava stringendogli la gola. Graham si portò le mani alla faccia, come distorcendola, incurante perfino degli occhiali che cadevano a terra. Si massaggiò le braccia, che sentiva fredde come se fosse stato nudo in pieno inverno e si guardò allo specchio. Respirò a scatti per qualche secondo, poi sentì la sua voce crollare ed infine franò tutto sé stesso in un pianto disperato.

8.

“Martin, tu darai a questo capolavoro un po’ più di considerazione di questo incolto idiota di Graham, voglio sperare!” esordì Daryl, entrando nell’ufficio del suo boss.
“Daryl!” fece Martin Crispian, alzandosi in piedi dietro la scrivania. “Puoi fare che cazzo ti pare con tutti, ma non nel mio ufficio! La prossima volta che non bussi prima di entrare…”
“Guarda! Ti lascerà senza parole!” disse Daryl, ignorando totalmente le minacce del capo e togliendo il velo al quadro.
Martin restò effettivamente senza parole, ma non nel senso in cui Daryl aveva sperato. La sua faccia era uno strano ghigno, come di chi resta sorpreso nel vedere che gli hanno bruciato la macchina. Gli occhi di Martin si erano fatti vuoti, mentre la presa sulla penna che stringeva si era fatta nervosa e tremante.
“Non ti piace?” fece Daryl, contrariato, appoggiando il quadro a terra. “Cristo santo! Devo andare alla National Gallery per trovare qualcuno che apprezzi la vera arte?”
Martin si sentì inspiegabilmente sollevato, quando Daryl ebbe fatto sparire il quadro sotto la scrivania. Fece un respiro profondo e sentì il sangue tornare a scorrere nelle sue guance. “Non so…” disse. “Forse mi aspettavo qualcosa di completamente diverso…”
“Vuoi che te lo lasci così lo guardi meglio?”
“No!” lo interruppe Martin con una foga che lo lasciò interdetto.
“Ehi, ma cosa ti prende?”
“No, ho avuto come un mancamento…” farfugliò Martin. “Forse il collo della camicia è troppo stretto. No, va bene. Usiamo quello. Tienilo tu. Fallo vedere ai ragazzi per la stampa della copertina e poi tienilo tu”.
Daryl lo guardò interdetto.
“Tienilo. Tu” disse Martin con una decisione che sapeva di disperazione.

9.

Erano le due di notte quando Marcia Crispian, esasperata dall’agitazione del marito, accese la luce. Martin era al suo fianco, in un lago di sudore, gli occhi spalancati e il respiro affannato.
“Caro, ma cosa ti prende?” chiese la donna, con preoccupazione.
Martin non rispose, limitandosi a sedersi sul letto, riprendendo fiato. Era come se fosse giunto alla fine di una lunga corsa, sudato come in un caldo pomeriggio d’estate.
“Martin, tesoro…” mormorò Marcia, accarezzandogli una guancia.
L’uomo si voltò verso di lei, la abbracciò e la strinse con forza a sé. Marcia Crispian sentì la paura in quell’abbraccio. E poi qualcosa le bagnò la camicia da notte sulle spalle. Ma non era il sudore del suo estenuato marito. Erano le sue lacrime.

10.

“Martin. Graham. Vi do cinquanta sterline a testa, se mi fate almeno un sorriso…” sbottò Daryl, visibilmente infastidito.
Erano in piedi su una passerella. Sotto di loro, le file di scaffali del Virgin Megastore di Oxford Street traboccavano di copie di Black Vertigo, pronte per essere vendute non appena fosse scoccata la mezzanotte. Finora la colonna sonora di quella notte erano le centinaia di fan urlanti, che scandivano il nome di Daryl Quartermaine, mentre il cordone di guardie di sicurezza impediva loro a stento di entrare attraverso le porte di vetro, prima che fosse dato loro il via. I commessi alle casse avevano i volti contratti dalla tensione, ma per un motivo ben diverso da quello che agitava Martin e Graham.
Daryl camminava su e giù per la passerella, agitando le braccia verso la folla osannante e scandendo loro il suo sorriso più smagliante. Ma anche il suo entusiasmo si conteneva, per via della rigidità dei suoi due compagni di serata.
“Sessanta! E’ la mia ultima offerta!” insistette Daryl, puntando un dito contro di loro.
“Smettila Daryl” lo zittì Martin. “Le vendite di mezzanotte sono da sempre una gioia per il mio fegato, lo sai… Finchè non avrò sentito i pareri positivi del pubblico, non sarò tranquillo!”
“I pareri positivi!” lo schernì Daryl. “Quella massa isterica e urlante è un parere positivo! Le centomila copie prenotate sono un parere positivo! E ci sono già massicce richieste per un tour! E nessuno ha ancora ascoltato una nota del cd, tranne che noi! Per me questo è un plebiscito!”
Daryl si piantò con forza, tenendosi al corrimano della passerella e guardando, sotto di sé, le migliaia di occhi rossi che campeggiavano dalle file dei cd. Il suo autocompiacimento gli fece scordare la forte incazzatura avuta con gli addetti del negozio, che due ore prima avevano infilato con fretta le copie tra gli scaffali. Come se bruciassero. Però con che paura l’avevano guardato, quando si era incazzato con loro!
“Manca meno di un minuto…” osservò Graham sull’orologio.
“Voi due non vi affacciate?” fece Daryl.
“Non ti ho mai detto che soffro un po’ di vertigini?” fece Martin.
“No, mai…”
Scoccò la mezzanotte, la folla premette ancora in avanti e la sicurezza lasciò che scorressero dentro, cercando di frenare la loro foga. Un gruppo di ragazze si fermò sotto la passerella e inneggiò a Daryl, sollevandosi le magliette e mostrando i loro seni nudi: sul petto di ognuna di loro c’era una lettera del nome del cantante. Daryl Quartermaine mandò loro un bacio pieno di compiacimento. Era così intento a concentrarsi sulle urla provenienti da chi entrava, da non accorgersi di cosa succedeva ai primi entrati, coloro che già si aggiravano tra gli scaffali colmi di copie di Black Vertigo.
Martin e Graham se ne accorsero al posto suo: la gioia aveva lasciato il posto allo smarrimento, l’entusiasmo all’indecisione. Decine di ragazzi e ragazze si aggiravano in timoroso silenzio, come se avessero dovuto scegliere invece di prendere direttamente una copia uguale a tante altre.
“Allora è vero…” mormorò Martin. Graham lo guardò, senza avere il coraggio di chiedergli cosa fosse vero per lui.
“Ancora con quelle facce da funerale?” chiese Daryl, prima di tornare al suo pubblico osannante. Le urla all’ingresso erano sufficientemente alte da coprire il silenzio sotto di loro. I ragazzi che già si dirigevano (ma con quanta timidezza!) alle casse non contavano ormai nulla per lui: avevano preso il cd, avevano toccato la grazia. Erano a posto, potevano andare senza ricevere ulteriore considerazione.
Considerazione che invece riservava loro Graham. Alle loro facce quasi attonite, allo stupore dei commessi nel vedere con quanto ordine questi ragazzi, scalmanati fino a poco prima, facessero la fila e pagassero cortesemente. E al fatto che tutti loro, tutti, porgessero il cd alle casse tenendo la cover girata verso il banco. E nessun commesso si azzardava a voltarlo.

11.

“Beh, mi sembra sia andata bene, no?” osservò Daryl, mentre attraversavano il parcheggio deserto, diretti alla loro auto. “Domani ci dovrebbero arrivare le prime stime di vendita in tutta la nazione!”
“E dopodomani comincia la vendita negli Stati Uniti” chiosò Martin. “Sì, sono contento, non devi fraintendermi… E’ solo che abbiamo investito molto sul tuo cd. Spero soltanto che le cose vadano come programmato…”
“Andranno così, non temere” minimizzò Daryl. “Tu non credi, Graham?”
Graham stava per rispondere, quando la sua attenzione fu attirata da un luccichio in terra, poco distante da loro. Corse rapidamente in avanti e calciò l’oggetto luccicante verso destra, lontano dal loro passaggio.
“Graham…” fece Daryl con profondo disappunto. “Alla tua età prendi ancora a calci le lattine?”
“Eh, è stato più forte di me…” mormorò Graham, osservando la copia di Black Vertigo che aveva scansato dal loro passaggio, scomparire sotto le ruote di un’auto.

12.

“Ciao Terry! Ma cosa ci fai qui a quest’ora? Dovresti essere a scuola”
“Lo so, ma prima dovevo passare da te…”

Eddie Hulce, proprietario di un piccolo negozio di musica nel Surrey, fu il primo a doversi confrontare con quella che di lì a poche ore sarebbe divenuta una mania nazionale. E poi mondiale. Davanti a lui c’era Terry Niles, diciassette anni, maglietta dei Joy Division sul torace e un’espressione di profondo disagio sul volto. In mano stringeva nervosamente un sacchetto di plastica bianca.
Eddie notò subito lo sgomento del suo piccolo amico. “Cosa c’è, Terry? Non sei il solito…” chiese con preoccupazione.
Terry sospirò e poi gli porse il sacchetto con un movimento rapido della mano. “C’è Black Vertigo qui dentro. Vorrei cambiarlo”.
“E’ una copia difettosa? Mi dispiace, te la…”
“No!” gridò il ragazzo.
Eddie rimase interdetto da quell’esplosione di rabbia. Immobile, con la chiave ancora inserita nella serratura del negozio.
“Scusami” disse Terry, abbassando notevolmente il volume della propria voce. “Cambiamelo, ti prego. Non lo voglio più…”
“E’ così brutto?” chiese Eddie, cercando di stemperare quel momento con un sorriso.
“Qualsiasi cosa” disse Terry, quasi implorando. “Anche il best di American Idol, un vecchio cd delle Spice Girls… Cambiamelo con qualsiasi cosa!”
“Addirittura le Spice Girls…” mormorò Eddie, quasi divertito. “Dai, vieni te lo cambio…”

Terry Niles era solo davanti il negozietto di Eddie Hulce ed erano le nove di mattina. Contemporaneamente, al Virgin Megastore in Oxford Street a Londra, la coda aveva già raggiunto i cinquecento metri…

13.

“Cosa vuol dire che lo stanno tutti restituendo ai negozi?” tuonò Daryl. “Mi state prendendo in giro? E’ impossibile! Ci devono essere stati dei problemi nella masterizzazione! Voglio parlare con quegli imbecilli che…”
“Daryl…” lo interruppe Martin con voce ferma ed occhi vitrei. “Quegli imbecilli hanno già ascoltato un centinaio di copie tra quelle riportate. Funzionano tutte alla perfezione. Nessuno si sa spiegare perché tutti lo stiano restituendo…”
“Recensioni ne esistono?” insistette Daryl. “Chi è la testa di cazzo che lo ha stroncato così…”
“Daryl, c’eri anche tu alla presentazione per la stampa” continuò Martin. “E’ stato un elogio costante. Probabilmente è il tuo cd migliore, anzi, forse è uno dei migliori della musica inglese negli ultimi dieci anni. Ma nessuno sembra volerlo. E nessuno fornisce spiegazioni a proposito…”
Graham aprì la porta, madido di sudore. “Sulla BBC stanno intervistando il figlio del Primo Ministro… Anche lui lo sta riportando…” disse.
Daryl si adagiò sulla poltrona, come un peso morto od un materassino che si sgonfia. “Ma cosa sta succedendo…” mormorò.
“Pare che abbiano trovato alcune copie anche nei cestini della spazzatura” continuò Graham, sedendosi accanto alla distrutta rockstar.
“Beh, se non altro abbiamo preso i loro soldi…” osservò Daryl con voce tremante. “Il cd l’hanno comprato. Obbiettivamente il danno economico è minimo…”
“Alla tua immagine non ci pensi?” fece Martin.
Daryl stava per rispondere qualcosa di pesantemente offensivo al suo principale, quando Graham se ne uscì con una frase che teneva da molto in fondo al cuore. “E a quell’immagine non ci pensi?”
“Di cosa parli, Graham?” chiese Daryl.
“Quella cosa spaventosa che ti ha fatto Platon… Dio santo, è mostruosa!” insistette Graham con voce quasi disperata.
Daryl lo guardò come se fosse impazzito. “Graham, non starai insinuando che il mio cd viene riportato nei negozi per via della copertina di Platon?”
“Devi ammettere che è inquieta…” iniziò Martin.
“Martin, Cristo santo!” lo interruppe Daryl con voce rabbiosa. “Siamo nel Duemila! La gente pranza guardando foto delle torture in Medio Oriente e mi verresti a dire che ora riportano il cd nei negozi perché gli fa loro paura la mia faccia disegnata sulla cover!”
“Non volevo dire questo, dicevo solo che…” cercò di dire ancora Martin.
“Dici cazzate!” tuonò Daryl ai limiti dell’isteria. “L’opera di Platon è un capolavoro e anche il mio cd è un capolavoro! Forse è solo troppo avanti per questo tempo! Secondo te le persone avrebbero capito i Pink Floyd, se i loro cd fossero usciti a metà anni ’50? Certo che no. E’ una storia simile, la mia… Ho solo scritto qualcosa che ha bisogno di tempo per essere compresa!”
Nella stanza piombò il silenzio. Martin giocherellò con una penna senza dire niente. Graham sospirò, passandosi una mano sulla fronte. Daryl, convinto di avere conseguito la sua vittoria per quella mattina, osservava i due col suo sorriso strafottente.

14.

“Li ha letti oggi i giornali, immagino…”
“Sì. Li ho letti. E immagino a cosa voglia riferirsi, mio caro amico…”
“Crollo degli ascolti allo 0%, nei dieci secondi successivi a quando Daryl Quartermaine ha mostrato una copia di Black Vertigo davanti alle telecamere...”
“Beva ancora un po’ di te, caro Graham…”
Attraverso la mano che si era portato agli occhi, Graham rivolse un’occhiata interrogativa al sorriso benevolo e rilassato di Platon. Prese la tazza che il pittore gli stava porgendo e bevve una breve sorsata.
“E’ solo una cover…” mormorò Graham. “Un dannatissimo quadro rimpicciolito…”
“Un quadro non è mai solo un quadro” fu la calma replica di Platon. “Si può leggere in tanti modi. Ma a volte capita che la gente ne scelga uno soltanto”.
“Ha forse voluto vendicare la morte di Lucinda Gray?” chiese Graham.
Platon scosse la testa. “La vendetta è un istinto. Nasce dalla passione per qualcosa” disse. “Se avessi conosciuto la signorina Gray, allora forse sì, si sarebbe potuto parlare di vendetta…”
“Allora perché?” chiese Graham con voce stanca.
“La gente mi apprezza perché so fare ottimi ritratti” spiegò Platon. “Dicono che abbia un dono speciale nel vedere dentro le persone… Non che voglia autoelogiarmi…”
“Mi sta dicendo che quel ritratto di Daryl non era una forzatura, ma come lo vedeva lei?”
Platon sorrise. Il sorriso più innocente del mondo. “E lei come lo vedeva, Graham?”
Graham sentì un brivido freddo lungo la schiena, ma non diede risposta alla domanda di Platon. Bevve un altro sorso di tè. Sentiva il bisogno di un po’ di calore.

15.

Da un’analisi approfondita, ordinata da Martin, si scoprì che solo 150 copie di Black Vertigo potevano dirsi ufficialmente vendute. A meno che, chi lo avesse comprato, non lo avesse destinato direttamente al cestino come già era successo.

Daryl Quartermaine fu colpito da esaurimento nervoso e si ritirò dalle scene. Qualcuno dice che ora viva in un paesino nei pressi di Amsterdam ed abbia avuto una figlia.

Graham lavora ancora come assistente. Si è sposato con una cantante New Age.

Con un ordine tanto rapido quanto segreto, e con la tacita approvazione di tutta la casa discografica, Martin Crispian fece portare all’inceneritore tutte le copie di Black Vertigo finora stampate.

Chi si trovasse in possesso di una copia di quel cd, sappia che il suo valore si aggira attorno alle ventimila sterline. Ammesso che trovi qualcuno interessato ad averlo.

I commenti degli utenti di neilgaimania

Straczynski01-09-2006 alle 19:13

La storia scorre piacevolmente fino alla fine senza risultare pesante.
Ho apprezzato molto quel pizzico di humor tutto italiano di cui è cosparsa a tratti la trama.
Complimenti!

I dati del racconto

  • Racconto

    del 13-08-2006

  • Autore del racconto

    WilliamShore

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