C'è un salone di pietra, la poca luce viene dalle candele sui lampadari. In alto, sulle pareti, ci sono delle nicchie. Sposto l'attenzione da un particolare all'altro, come se stessi seguendo la volontà di un regista invisibile.
Ora sto guardando le nicchie, dove sono nascoste quattro persone. Nel salone tutti sembrano aspettare qualcosa, e le figure nelle nicchie sono agitate. Improvvisamente mi trovo a fianco di una di queste figure, e dietro di noi prendono forma degli animali fantasma. Assomigliano a cavalli. E ogni volta che fanno una smorfia si muove la nebbiolina che hanno intorno al muso.
Poi le figure si lanciano giù, verso il salone che nel frattempo si è magicamente svuotato. Io e la mia figura, quella che mi ospitava nella nicchia, ci troviamo nello stesso corpo.
Prima di toccare il pavimento con inevitabili conseguenze, una sfera di vetro ci avvolge. Una per ognuna delle quattro figure, tra le quali ci sono anche io. Abbiamo in mano una spada, che viene inglobata come noi dal vetro. Schiantandosi a terra la pietra di vetro si rompe, e noi finiamo distesi sul pavimento. Non ci facciamo male, o almeno io non me ne faccio. Poi non c'è più nessuno tranne me.
Ma lentamente si avvicina un uomo alto e magro con arruffati capelli neri. Ha in mano un pugnale, che mi porge con un sorriso non appena è abbastanza vicino. La mamma me lo diceva sempre, che i sorrisi illuminano lo sguardo. Dopo aver visto brillare così intensamente gli occhi di quell'uomo, ho deciso che avrei sorriso molto più spesso. La figura vestita di nero si volta e torna da dov'era venuta.
Sposto lo sguardo sul pugnale. Il taglio della lama è sottile e affilato. Mi alzo e mi avvicino alla porta del salone. Il soffitto è macchiato di sangue, ma non me ne accorgo. È un soffitto bianco, non perfettamente levigato. I lampadari sono scomparsi e sembra che il salone si sia rimpicciolito.
Esco e raggiungo una casetta di pietra a pianta circolare. La porta è aperta. Oltrepasso la soglia e vedo qualcuno o qualcosa che conosco. Al centro della stanza ci sono delle sedie disposte a cerchio. Sulla prima che mi trovo davanti sono appoggiati due libri, uno sopra l'altro. Le copertine nere, anonime. Su una sedia più avanti c'è un libro con un drago blu in copertina. Ma anche questo senza il titolo. Mentre parlo con il mio amico mi avvicino alle finestre.
E arriva una donna e mi dice di scappare. E scappiamo. Mi ritrovo nel salone di prima. Questa volta mi accorgo del sangue sul soffitto, però non sono spaventata. Mentre io e la donna scappiamo, arriva un uomo circondato da una nube di puzza di sudore che quasi si può toccare. La prima cosa che mi chiedo, quando lo vedo, è dove riesca a trovare vestiti di una taglia così assurdamente grande. Neppure il vecchio castagno nel giardino della nonna ha un tronco largo quanto la sua pancia, penso. In mano tiene una specie di clava di legno. È mancino. E io sono convinta di averlo già affrontato, ma non riesco a ricordare quando. Cerca di attaccarmi, ma gli graffio il braccio destro con la punta del pugnale. La donna si stringe terrorizzata al mio braccio. L'uomo ride. Perchè?, gli chiedo, Perchè stai ridendo?
Ho avuto la risposta, mi dice.
La risposta a che cosa?
A una domanda.
La bambina si sveglia terrorizzata sente del sangue scorrerle sul braccio, come se fosse stato l'uomo a ferire lei, e non il contrario. E si passa la mano nel punto dove sente bruciare, e i suoi polpastrelli seguono la forma di una cicatrice sottile, vinta pochi anni prima cadendo dallo scivolo, dice la mamma. Impiega qualche secondo per capire che era solo un sogno. Chiude gli occhi, cercando di richiamare l'immagine del salone.
Ma nella nebbia che avvolge il ricordo trova solo due occhi che brillano come stelle in una notte senza luna.